L’artrosi al ginocchio è una patologia cronica e degenerativa con un’incidenza sempre più preponderante nella società odierna. I motivi sono diversi. Essendo il frutto dell’erosione della cartilagine, la sua diffusione è da legare innanzitutto al progressivo invecchiamento della popolazione.

Da non dimenticare sono altresì fattori come il sovrappeso. Un eccessivo carico ponderale sulle articolazioni le porta, per forza di cose, ad andare incontro a quadro di erosione della cartilagine. Un altro fattore, meno legato alle problematiche fisiche, riguarda i traumi che insorgono durante l’esercizio di alcune attività sportive.

Negli ultimi anni, l’approccio risolutivo all’artrosi al ginocchio si è evoluto tantissimo, con tutti i vantaggi del caso per quanto riguarda l’impatto sul sistema sanitario nazionale. Non importa che ci si rivolga a un centro di ortopedia e traumatologia a Pisa piuttosto che a una realtà in un’altra città d’Italia: in tutti i casi, il paziente viene preso in carico basandosi sulla massima customizzazione.

Nelle situazioni in cui, per esempio, il paziente è giovane, si tende, con lo scopo di posticipare il più possibile l’intervento, a ricorrere alla medicina rigenerativa. Di cosa si tratta? Di una sinergia fra ortopedia e biologia che vede in primo piano l’utilizzo delle cellule staminali del sangue con lo scopo di disinfiammare i tessuti cartilaginei, stimolandone una blanda rigenerazione.

Procedura che si svolge a livello ambulatoriale, prevede il prelievo di una piccola dose di sangue venoso del paziente. Quest’ultimo viene trattato in modo da isolare la parte caratterizzata da una grande quantità di cellule staminali e iniettato nella zona del ginocchio interessata dall’erosione articolare. Per amor di precisione, ricordiamo che si può utilizzare anche il grasso autologo.

La medicina rigenerativa non può essere considerata una soluzione per sostituire l’intervento. L’artrosi al ginocchio, altrimenti conosciuta come gonartrosi, è come già detto una patologia degenerativa. L’impianto della protesi è quindi una certezza. Se lo si può protrarre avanti nel tempo perché il paziente è giovane o perché il suo grado di artrosi non è severo, è il caso di farlo.

Protocollo fast track

Oltre alla medicina rigenerativa, quando si parla delle innovazioni che stanno investendo l’approccio curativo dell’artrosi al ginocchio è fondamentale chiamare in causa il protocollo fast track. Di cosa si tratta? Per rispondere a questa domanda, traduciamo il termine. Fast track è un’espressione che può essere resa in italiano con “percorso veloce”.

Con lo scopo di alleggerire il sistema sanitario, i pazienti che hanno le giuste indicazioni vengono indirizzati lungo un percorso che permette di abbreviare notevolmente i tempi di permanenza in ospedale. Per raggiungere questo risultato, bisogna passare da diversi step. Il primo è l’esecuzione di incisioni chirurgiche di pochi centimetri, rispettose della muscolatura e delle strutture nervose.

Nel corso del fast track applicato alla chirurgia protesica del ginocchio, si tende anche a ricorrere a soluzioni diverse dal laccio emostatico per tenere sotto controllo il sanguinamento.

Un cenno va dedicato anche alle caratteristiche delle protesi vere e proprie. Al giorno d’oggi sono sempre più piccole e, in alcuni frangenti, addirittura personalizzate sulla base delle esigenze e dell’anatomia del singolo paziente.

Proseguendo con l’elenco dei principali dettagli che caratterizzano il fast track dopo l’impianto di protesi al ginocchio, rammentiamo che gli specialisti, di frequente, non utilizzano il catetere vescicale o il drenaggio articolare.

Protocollo che prevede, prima dell’applicazione, il focus sulle patologie correlate e sul grado di autonomia del paziente, il fast track può prevedere l’inizio della deambulazione con ausili già dopo 6 ore dall’intervento.

Nella prima giornata post operatoria, si lavora invece alla rieducazione al passo, per arrivare alle dimissioni dopo 3/4 giorni.

Per poter dimettere il paziente dopo l’impianto della protesi al ginocchio, gli specialisti richiedono, quasi sempre, la capacità di muoversi per almeno 50 metri con l’aiuto dei bastoni canadesi. Il percorso di riabilitazione, che dovrebbe portare, in circa 10 giorni, a camminare in maniera autonoma, va proseguito fin da subito dopo le dimissioni.